Fundación Canaria Orotava
de Historia de la Ciencia

Los presupuestos de la política: amigo/enemigo en Carl Schmitt

Quando iniziamo a parlare di cristianesimo ci troviamo di fronte a Cristo, un dio profondissimamente mortale, che nasce e muore sulla terra, un dio sottomesso alla legge. Ma chi fonda esattamente il cristianesimo? Cristo no. Lo fonda Paolo di Tarso.

Cosa effettivamente realizza Saulo di Tarso divenuto Paolo? Unifica nel nome del cristianesimo, questo si, ma chi unifica e quando? Il quando è subito chiaro: nell’epoca dell’impero romano. Questa è la chiave storica utile per capire l’elemento universale insito nel cristianesimo. Veniamo al “chi” è unificato.

Paolo unifica sotto il nome cristianesimo “gentili” ed ebrei compiendo qualcosa di assolutamente impensabile prima d’ora: gentili ed ebrei erano distinti sotto un punto di vista della dottrina religiosa, ma hanno ora, sotto l’impero romano, una unica legge a cui obbedire, un unico modo che regola la vita pubblica delle “genti”. Le comunità esistenti cristiane con Paolo iniziano a riconoscersi unificate, unificate in territorio imperiale. Sotto una politica universale è più facile, infatti, accettare volontà generali. Gli animi sono già disposti a recepire discorsi universali. Il concetto di universalismo è fondamentale e di immediato riconoscimento. Diviene possibile, ora, introdurre il concetto che tutti siamo figli dello stesso dio, già che siamo tutti sottoposti allo stesso sistema politico di obbedienza. Seppure esistono differenze sostanziali, tra l’essere romano e l’essere ad esempio giudeo, ciò che importa è essere tutti sotto la legge di Roma. Questo concetto sarà ciò che in epoca successiva si chiamerà jus publicum europeum. Un sistema che, superando le diversità religiose, favoriva una unificazione politica attraverso una diffusa comunanza di opportunità o vita sociale.

Il sistema teologico, in epoca paolina, doveva solo ridursi dalla molteplicità pagana ad un unico dio, ora cristiano. L’universalismo di Paolo si configura come una organizzazione politica, ed ogni organizzazione politica ha nel suo fondamento il concetto che la politica è un potere.

La teologia di Paolo è la prima forma di teologia politica ben strutturata. Per capire ora come la politica abbia per fondamento il potere la domanda chiave è: posto che il potere politico sia il potere della forza, è necessaria la forza per far si che venga accettato il potere politico? Di immediato risponderemo no e infatti Paolo introduce il concetto di fede.

Paolo si rende subito conto che i re ottengono obbedienza però è controllando l’opinione pubblica che si ottiene obbedienza. Paolo parlerà di “credere” e di “avere fede”; parlerà di obbedienza alla legge, non più quella mosaica, ma quella della politica, la legge dell’impero. Questo legame tra politica, fede, e obbedienza, si intende meglio con la filosofia di Carl Schmitt. Proprio la fede sarà ciò che Carl Schmitt strutturerà come teologia politica e nello strutturare la cultura del mondo occidentale, quello stesso jus publicum europeum, porterà in totale evidenza i presupposti della politica uguali in ogni tempo ed in ogni dove. Argomenteremo, in questa conferenza, come l’idea di universalismo non è criterio unico di una religione, di una fede unica o di una organizzazione politica specifica, ma essenza stessa della politica, cosa che rende l’opera di Paolo unica sul piano politico. Riconosceremo come la politica sia il campo (per cui aperto) dell’amico e del nemico, della massima distinzione tra l’uomo, di ciò che permette la costruzione e la difesa di una comunità.

Questo potrebbe essere una chiave di lettura per la Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Ma prima di tutto dovremmo intendere come sia possibile che la gente accetti l’idea di un potere e successivamente obbedire a questo potere. Il potere è la capacità di condizionare il comportamento di ciascun componente di un gruppo sociale; il potere è il comando che sempre sarà rispettato perché assunto a regola massima di comportamento. Da ciò ne consegue che l’organizzazione sociale è regolata dalla relazione, o meglio, dall’equilibrio, tra comando e obbedienza.

Chi legittima l’obbedienza?

Storicamente si sono apportate diverse spiegazioni: la volontà di dio, trascendente e calata nella storia, quindi secolarizzata; la volontà di un popolo, attraverso l’incoronazione dei re; l’evoluzione naturale delle relazioni sociali, la ricerca della protezione; la storia passata o al contrario la storia futura,popoli da sempre uniti popoli in autodeterminazione; infine l’economia. Tutte queste spiegazioni dipendono dalla necessità di costruire una società.

Perché è necessario costruire una società? Possiamo passare in rassegna tutti gli argomenti che suppongono l’esistenza di una società come prodotto storico come necessità, e possiamo anche passare in rassegna secondo diversi punti di vista: argomentare sulla relazione tra uomo e società da un punto di vista storico, assiologico, sociologico e politico.

Ci concentreremo sull’ultimo e diremo che il politico non è un prodotto umano, non è invenzione culturale dell’uomo e dunque è impossibile stabilire quando un uomo non politico è diventato politico, deduciamo da ciò che il politico nasce con l’uomo stesso e di conseguenza tutte le teorie sull’origine sono difettate: risulta difettata la teoria della giustificazione: siamo politici perché ci organizziamo; difettata la teoria della famiglia come primo nucleo della politica, difettata la teoria della creazione, difettata la teoria della dimensione politica secondo la quale tutta la società ha potere diffuso: nessuno comanda ma tutti obbediscono. Ponendo comando e obbedienza sullo stesso piano, mentre in realtà suscitano atteggiamenti diversi; difettato il liberalismo supponendo una supremazia della società civile su quella politica; difettata la teoria secondo la quale la politica è a supporto della società per arginare la violenza; e difettata pure è la teoria della convenzione, quella del contratto. L’ipotesi di Hobbes, è logica non storica e presuppone una volontà di contrattare. La politica non esiste nella società costituita ma essendo essenza dell’uomo vive ed è presente non nelle società ma nelle comunità. E infatti si parla con Paolo e con Schmitt di comunità. Questo perché gli uomini della comunità sono sottoposti allo stesso destino, alla stessa storia, alle stesse vicende storiche. Cristo condivide la mortalità, muore per i peccati di tutti, comuni a tutti. E tutti sono politici. Tutti accolgono il messaggio politico che, nella sfera religiosa diventa fede, nel campo pratico diventa Stato. Nella società gli individui sono separati ognuno a difesa della sua sfera.

Quando Paolo inizia l’opera di evangelizzazione incontra già primitive comunità religiose, comunità propense ad accogliere il messaggio universale, che diventa in quello stesso momento universale perché diretto a più territori. È vero che le lettere parlano a popolazioni distinte ma in tutte si va formando la linea del cristianesimo valido per tutti. Le componenti particolari, le esperienze e le diverse esigenze delle diverse popolazioni confluiscono nell’unica religione, così come tutte le esperienze politiche si unificano sotto il comando dell’impero romano.

È in questo momento che iniziamo a parlare di diritto universale delle genti. Qui, con Paolo, ci sono le fondamenta della cultura occidentale. L’universalismo cristiano ha un’origine fusa tra religione cristiana e politica, tra un credo ed un’essenza. È qui che si fonde la teologia politica. Vediamo come, con l’aiuto di Schmitt riconoscendo le essenze della politica, troveremo quel concetto di sovranità strettamente connesso con la teologia paolina. Ciò che consentirà a Schmitt, per primo, di parlare di teologia politica. Schmitt individua come componenti onnipresenti, aldilà del tempo e dello spazio, tre dicotomie che indicano la presenza della politica. La loro presenza, anche solo uno di essi, assicura l’esistenza di un fatto politico, l’esistenza di qualcosa che appartiene all’essenza del politico e l’essenza è la non riducibilità ad altro. Queste constanti si chiamano, appunto, presupposti e rilevano in ogni fatto politico, nell’esperienza storica, il dominio indiscusso della politica, sono le relazioni di: comando e obbedienza; pubblico e privato; amico e nemico. L’una non è il contrario dell’altra, è necessaria la presenza di entrambe. È il punto di flessione tra le due che costituisce l’elemento politico, è l’equilibrio tra le due che determina la politica.

Di fronte al comando abbiamo l’obbedienza, questa relazione è, magari, quella che più mal sopportiamo però è evidente che d’innanzi ad un comando nessuno obbliga fisicamente, è l’efficacia del comando che ottiene obbedienza. La manifestazione più importante di questa relazione è lo Stato, un potere organizzato e accettato.

Pubblico e privato è la dicotomia più facile da intendere e ci soffermiamo su quella per noi più importante: la relazione tra amico e nemico. Per iniziare chiariamo subito che amico è il “compagno”, il “socio” e che il nemico è “l’altro”, colui che si trova fuori, escluso dal patto che determina me unito ai soci.

La prima parola che troviamo analizzando il termine nemico è nemo, il latino nemo, che letteralmente significa nessun uomo. Dopo incontriamo hostis, lo straniero, colui che non detiene alcun diritto però si, ottiene, ospitalità. Hostis è l’equivalente del greco cenos lo straniero che improvvisamente arriva, compare e si riconosce come tale, diverso.

Hostis e cenos si trovano esclusi dalla comunità chiusa e protetta, sono esclusi da una comunità che ha limiti. I limiti, i confini devono essere protetti. A l’Hostis si dichiara guerra.

Abbiamo un’ulteriore distinzione tra nemico pubblico e nemico privato. Il nemico pubblico, l’hostis è colui che è escluso dalla comunità, parlando di una comunità religiosa il nemico pubblico diventa il diavolo. Un nemico pubblico che è nemico dell’intera comunità cristiana che non ha confini. Un nemico che mette in discussione l’esistenza stessa della comunità. I nemici privati appartengono invece ad una società, poiché mettono in discussione il sistema di vita sociale, l’equilibrio interno di una società, maiu mettono in discussione ed in pericolo la comunità delle genti. In questo caso il nemico pubblico è chiamato inimicus. Lo stesso nemico privato può avere il mio stesso nemico pubblico. Qui si trova tutto l’universalismo. Diventa chiaro ora come in realtà non si è mai parlato di totalità cristiana ma sempre di universalismo cristiano, non si è mai voluto rendere il mondo nella sua totalità cristiano, ma universale garantendo così le pluralità politiche e sociali esistenti. Quando Cristo si rivolgeva ai poveri, nella sua opera di messianismo, compiva un atto selettivo, si rivolgeva ad una parte della società, attirando su di se l’inimicizia sociale. Paolo si rivolge ad una comunità infinita, varia, che non può attirarsi nessun nemico privato, ma che quando si fonde con la politica si pone di fronte ad un nemico, qualora venisse identificato, pubblico. La politica, in effetti, non è mai sintomo di unità, ma controllo dell’equilibrio, controllo delle diversità. La politica vive di inimicus ma si protegge dall’hostis. Il patto di fede ed il patto comunitario coincidono nel cristianesimo creando così una teologia politica che parlerà ad una comunità universale.

Parlare in questo senso di teologia politica non è facile perché nella storia si sono prodotti svariati simboli e ogni religione ha sviluppato propri idoli che hanno deviato dalla prima e originaria fede. È nato, poi, il problema dei valori che formano parte del decalogo di una religione fino ad arrivare a chiedersi se esiste una virtù civica distinta, separata, da quella religiosa. Certo è che, dopo il medioevo, si è verificata una separazione tra cittadino e credente. Il cittadino non ha bisogno di credere per essere titolare di diritti civili ed il credente non deve unicamente professare la fede per essere cittadino. La città non ha bisogno di credenti. Questo ancora di più sdogana dal particolarismo l’idea universale di Paolo che si rivolge a tutte le città.

In questo momento storico nasce lo jus publicum europeum con la separazione, attraverso il diritto, tra politica e religione. L’intervento del diritto dimostra come la politica è presente in ogni aspetto della vita di ciascun cittadino e regola i rapporti tra questi e i cittadini degli altri stati, tra questi e i suoi stessi concittadini lasciando libera la sfera religiosa come un fatto privato che però diventa pubblico nel momento in cui si identificano tutti come figli di dio.

Questa virtuale comunità, di figli di dio, necessita di difesa, come tutte le comunità. Abbiamo visto come l’unico nemico che ha una comunità universale (per il fatto stesso di esistere ha necessariamente una sua forza contraria) è il diavolo. Posto che la comunità cristiana sia fondata su Cristo il suo opposto necessario è l’anticristo.Riconoscere il dualismo tra cristo e l’anticristo, tra amico e nemico è forse la più importante delle componenti politiche che ritroviamo in Paolo. La riconosciamo per merito di Schmitt ma indubbiamente emerge Paolo come costruttore di un concetto religioso plasmato sull’esempio dell’impero romano, plasmato su un esempio di sistema politico ben strutturato geograficamente. La legge di Roma estesa su diverse popolazioni così come la legge divina estesa su una comunità cristiana senza confini, ma calata geograficamente nei confini imperiali. Questa comunità sarà difesa geograficamente, nei secoli successivi evidentemente, dall’esercito politico.

Riconoscere le diverse anime che compongono la comunità, le distinte forme, l’humus di cui è costituita la comunità, permette di riconoscere il messaggio di fede e il sistema politico necessario alla difesa per esprimere il proprio credo. Quello che riconosce Schmitt è il momento della teologia politica, è il fine ultimo della politica, e identifica in ogni epoca l’eroe, che sempre appare in difesa per realizzare il fine. L’eroe è colui che capisce la necessità del momento e attua in piena sovranità.. Il sistema universale delle genti, attuando politicamente, riconosce il nemico di tutto il sistema e, equilibrando le distinte forze, fa la storia. È l’esprimersi del mondo occidentale nella storia umana, per questo oggi risulta difficile identificare il kat-echon con qualcuno così connesso al male. Nella II lettera ai Tessalonicesi non si sa bene chi sia “l’iniquo” colui che è esattamente opposto a Dio, il nemico che si oppone a Dio, né chi sia questa forza frenante capace di impedire la manifestazione dell’anticristo. Non si sa se, la forza frenante sia il vangelo, “scudo di fede …elmo di salvezza …spada dello spirito” (dirà Paolo nelle lettera agli Efesini) o come molti ritengono l’impero romano, con la sua opera di ordine e pace, il sovrano, l’autorità decidente, l’eroe che capta, intuisce e agisce prendendo in mano le redini della storia e dando poi la svolta storica. Tuttavia è dubbio se anche ai Tessalonicesi fosse chiaro. Ciò che rimane chiaro è che la storia è fatta di decisioni e che le istituzioni politiche sono frutto di un progetto razionale, probabilmente l’idea universale di Paolo è proprio un progetto razionale con elementi di politica ben identificati, con l’universalismo di una chiesa cristiana da formare intrisa però di essenza della politica.